Uno dei casi più dibattuti degli ultimi giorni: la famiglia che vive nei boschi di Palmoli, in provincia di Chieti, in Abruzzo.
Nathan Trevallion, Catherine Birmingham, i loro tre bambini e il modo in cui hanno scelto di vivere sono diventati terreno di scontro: sociale, politico, di opinioni più o meno fondate e più o meno superficiali.
E come succede ormai troppo spesso i social danno il peggio di sé, dando spazio e voce alla solita alluvione di click e commenti usciti dalle pance emotive di persone che sfogano online le proprie noie e frustrazioni.
Per questo chi scrive queste righe ha resistito (sinora) alla tentazione di scrivere sull’argomento: dopotutto lei, Catherine, è una di noi.
Amazzone per pura passione, anni di lavoro in giro per i maneggi di tutto il mondo partendo dalla natìa Australia, il Dressage come disciplina più amata. E un cavallo amatissimo, Lee, che ha fatto venire in Abruzzo dall’Australia anche grazie a una raccolta fondi online dedicata.
Oltre al grigio Lee hanno anche un asinello, e tanti altri animali: quanti tra di noi, bambini, non hanno sognato invano di averli?
Ma tutta la situazione è troppo delicata per parlarne alla leggera, specialmente per chi non ha competenze specifice in psicologia, didattica, assistenza sociale.
Per quello che ne sappiamo il problema vero non è la casa in cui vive famiglia, o la particolare scelta didattica: quello che ha fatto preoccupare gli assistenti sociali è stata l’intossicazione da funghi.
Però c’è qualcosa di cui la scrivente può parlare con cognizione di causa: ed è la casa in cui vivono, bagno all’aperto compreso.
Perché sono nata nel 1967, e fino ai miei 8/9 anni la casa dei miei nonni materni era sprovvista di bagno interno: a una quindicina di metri dalla porta di casa, vicino all’orto, c’era il casotto del bagno esterno.
Un parallelepipedo in muratura col tetto inclinato, dentro ‘la turca’.
Faceva anche un po’ paura a noi piccolini, il terrore era ovviamente quello di finire dentro la fossa sottostante…impossibile, certo, ma un po’ di fifa ce l’avevamo.
Eppure anche lì dentro mia nonna riusciva a tenere ordine: c’era il gancio a uncino di ferro con infilati pezzi di uotidiano tagliati precisi, sempre, tutti uguali, a rettangolo.
Anche la loro casa era molto semplice: una volta le chiamavano caselle lì nella Bassa modenese. Muri a una testa: entrata, cucina e acquaio a piano terra, poi su per una scala di legno si arrivava alle camere da letto, due grandi e una piccolina sul mezzanino.
Nelle camere, sotto il letto, c’erano i vasi da notte di smalto bianco con una riga blu sul bordo.
Mio nonno era muratore e bravissimo a tenere l’orto, mia nonna curava la casa e 7 figli.
Se fuori la casa era molto semplice, dentro era sempre di una pulizia e un ordine perfetti, impeccabili: lei sarebbe stata sempre, ogni momento di ogni giorno, pronta a una ispezione generale da parte di chiunque – e chiunque le avrebbe fatto i complimenti.
Ecco, la casa della famiglia nel bosco un po’ mi ricorda quella dei miei nonni: dai video su Youtube girati da Catherine si vede che la casa è pulita, ordinata.
Per esperienza personale quindi so che in case come quella possono regnare ordine, calore e pulizia, come e molto più che non in tante case moderne, piene di elettrodomestici e comodità.
E’ meno normale che lì vicino non ci siano altri bambini con cui i piccoli Trevallion possano giocare: da mia nonna, per rimanere nel cognito, c’erano stormi di bambini con cui giocare – cugini, figli dei vicini, cugini dei cugini e amici degli amici.
Con cui costruire fionde, litigare, giocare a pallone o ai cavalieri del castello, leggere i Topolino e il Corriere dei Piccoli e fare il bagno nel canale.
Ecco, rispetto alla mia esperienza a quei tre bambini forse mancano gli amichetti, i cugini: ma sembra che nella casa famiglia in cui sono stati in questi giorni abbiano fatto amicizia con tutti, grandi e piccoli.
Di speciale in quella famiglia che vive nel bosco c’è sicuramente l’attenzione dei genitori verso i loro bambini. Li educano da soli a casa, un’abitudine forse più diffusa nel mondo anglosassone che non da noi in Italia.
Mi viene in mente Gerald Durrell, naturalista e scrittore autore tra gli altri di ‘La mia famiglia e altri animali’. Un libro incantevole, di quelli che ogni ragazzino dovrebbe poter leggere.
Ma la questione più ‘scolastica’ del caso non è in realtà il fulcro della contestazione fatta dagli assistenti sociali: la bambina più grande è stata trovata adeguatamente preparata, dopo una valutazione fatta secondo le regole.
Vediamo ogni giorno più povertà educativa e trascuratezza genitoriale in bambini che hanno in mano un cellulare o un tablet in modo costante, dal passeggino al tavolo della pizzeria.
Una abitudine devastante, ma che nessuno ancora si è mai preso la briga di condannare per legge da nessun partito politico: e sarebbe curioso capire il perché.
Ma allora, il problema qual è?
Tutto è partito dall’intossicazione causata da funghi raccolti dal padre e cucinati per la famigliola: quell’episodio ha preoccupato fortemente gli assistenti socialil da lì si sono mosse le amministrazioni locali.
Per cercare di aiutare la famiglia e i bambini: ma per il momento, purtroppo, tutto si è complicato in un modo apparentemente inestricabile.
Da una parte l’appellarsi a regole e leggi, dall’altra un certo orgoglio probabilmente, e la convinzione di tutte le proprie scelte.
Una rigidà strutturale da una parte – pur con tutta la generosità che ha espresso la comunità nei loro confronti, offrendo casa e aiuto – e dall’altra la rigidità di chi non cambia di un millimetro la propria posizione nè la discute.
In mezzo i bambini: che sono i più importanti di tutti.
Più importanti di Lee, l’amatissimo cavallo di Catherine arrivato dall’Australia anche grazie a una raccolta fondi sui social. Un aiuto che, in quel caso, era stato chiesto e sollecitato.
Più importanti anche dell’asinello, un altro loro gentile compagno di giochi che di certo si chiederà dove sono i suoi piccoli amici.
Più importanti dell’orgoglio, più importanti dell’aver ragione, più importanti di ogni convinzione personale.
E’ la rigidità che sta facendo male a questi bambini, il non sapersi sedere a parlare ascoltando veramente l’altro da parte di chi deve occuparsi di loro.
Una cosa che tra l’altro si impara benissimo proprio da loro, dagli animali, che sono maestri nel saper trovare compromessi nelle difficoltà.
Forse perché loro, gli animali, non sono ingabbiati da nessuna ideologia: e alla fine è questa la vera libertà.
























